Con il post odierno desidero mettere in risalto le doti di umanità e al contempo di rigore morale che hanno contraddistinto la carriera di Salvatore Caminiti in qualità di medico responsabile del reparto medicina nel carcere di san Vittore, a Milano.
Molto interessante e con un tocco di humor, è il quadro descrittivo che riesce a delineare, dopo appassionati studi, delle personalità di personaggi responsabili di crimini efferati, nella fattispecie, nei passi che seguono, del famoso boss della mafia Luciano Liggio. I brani scelti sono tratti da "L'Ottavo Cancello".
"...alla fine,
nel prendere talune decisioni, conta molto il fattore ‘simpatia’. Non ne
abbiamo ancora parlato. Ho incontrato persone simpatiche o antipatiche. Per esempio ebbi modo di conoscere un uomo che trovavo affabile. Solo
successivamente seppi che si trattava del boss mafioso Luciano Liggio. Zamparelli, che fu questore a Napoli e capo della Squadra Mobile di Milano
negli anni ‘50, famoso per avere fatto arrestare i componenti della banda di
via Osoppo, mi rivelò dell’esistenza di prove certe relative a ben 13 omicidi
compiuti da Liggio, e di molti altri delitti di cui mancavano ancora riscontri
definitivi. Io Liggio lo conobbi bene. Contrariamente a quanto si
possa pensare, era una persona piacevole. Parlavo abitualmente con lui così
come sto parlando con te. Cosa vuoi che ti dica, più o meno tutti abbiamo
personalità sfaccettate.
Quindi puoi capire come ci sia anche un conflitto
interiore nell’animo di un medico che opera dietro le sbarre. Io comunque ho
curato chiunque ne avesse bisogno, che fosse cittadino libero o detenuto, ladro
o mafioso, simpatico o meno...
...poi
cominciarono ad arrivare personaggi come Luciano Leggio, il famoso capo della
mafia, che tutti chiamano Liggio, morto
di infarto nel 1993, e a proposito del quale ti voglio raccontare un episodio.
Noi
dovevamo compilare il cosiddetto modello
99, un librone enorme, in cui il medico doveva riportare tutto ciò che
accadeva quotidianamente. Veniva redatto completamente a mano. Un detenuto,
chiamato ‘detenuto scrivano’ era incaricato della sua compilazione. Prima scriveva
su di un foglio, facendo poi controllare al medico se ciò che era stato
trascritto andava bene. A quel punto, ottenuto il benestare, il foglio veniva
incollato sul modello 99. In tal modo
tutto ciò che succedeva nel reparto risultava rigorosamente documentato.
Un
giorno, arrivando in carcere, aprii il librone. Vidi al suo interno un foglio
scritto a macchina e incollato e lessi:
‘Liggio
Luciano non può essere presente all’udienza di domani in quanto affetto da
ipotensione’. Firmato dottor Caminiti.
Chiesi
- E questo cos’è?-
mi
rispose lo scrivano –dottore sono stato obbligato, sa qui dentro…-
Gli
dissi –Vammi a cercare Liggio-
Lui
lo chiamò, e Liggio si presentò con aria molto gioviale, esordendo
-
Dottore carissimo! - E io, piuttosto alterato
-
Venga qui. Cos’è questa storia?- gli chiesi.
E lui, per nulla turbato, replicò
-Dottore
sa, se mi fossi presentato… veda, per me
era meglio saltarlo questo processo, perché presto ne avrò un altro…-
-
Ma lei si rende conto che questa cosa che è stata scritta oltre ad essere un
falso è una stupidaggine? – dissi - La diagnosi è completamente sbagliata, lei
è un iperteso, quindi non poteva scrivere ‘ipotensione’- proseguii – inoltre se
avesse usato un po’ più di intelligenza, senza ricorrere a questi sotterfugi… e
mi avesse detto magari che era andato di corpo tutta la notte, affetto da
diarrea e non da ipotensione, sarei stato obbligato a rilasciarle un
certificato. -
Mi
guardò, fingendosi quasi mortificato e disse –Dottore ha ragione, non mi
permetterò mai più- poi, incassato il colpo, se ne andò. Qualche giorno dopo
entrai nella sua cella per visitarlo e lo trovai con delle tavolette di legno
tra le mani. Vidi che cercava di spezzarle, gli chiesi –Ma cosa fa?- E lui mi
rispose
-Dottore
un po’ di karatè, non si sa mai… in prigione…-
A
proposito di Liggio ricordo un’altra storia. Un detenuto voleva un certificato
che non gli spettava affatto, assolutamente fuori luogo. Io gli dissi di no, e
lui mi rispose minaccioso -L’aspetto lì fuori!- indicandomi il corridoio. Dalla
mia stanza, l’infermeria, dovevo percorrere un passaggio obbligato che portava
a uno dei sette cancelli che separano il carcere dall’esterno. Probabilmente lo
scrivano aveva avvertito Liggio di quelle intimidazioni.
Quando
uscii, questi si dispose da un lato. Di fronte a lui uno dei suoi accoliti. Mi
scortarono insieme fino all’uscita, mentre quello che mi aveva minacciato se ne
stava quatto, quatto, in un angolino. Non me ne ero reso conto, ma Liggio mi
aveva protetto.
Quando
mi capitava di avvicinarlo mi era sempre difficile capire chi avessi di fronte
e quanto potesse essere diverso da me. Con Liggio mi sentivo combattuto tra il
considerarlo per quello che vedevo esteriormente di lui, ovvero una persona
dall’aspetto modesto, ma intelligente, simpatica nel modo di porsi e di parlare,
e quello che sapevo dei suoi barbari crimini.
Vi
fu un periodo in cui il ‘boss’ rimase privo di un dente prima che venisse
rimpiazzato da una protesi. Liggio, ritenendosi poco presentabile per il
pertugio evidente creatosi nella sua bocca, si scusò con me per
l’inconveniente. Ma io non ero interessato al lato estetico. Stranamente,
chissà perché, con la fantasia immaginai
quell’apertura come un varco inaspettato per accedere ai suoi segreti e
quindi alla verità sui numerosi delitti
efferati che aveva commesso..."

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