martedì 11 giugno 2013

Salvatore Caminiti racconta del boss Luciano Liggio in carcere a san Vittore

 
Con il post odierno desidero mettere in risalto le doti di umanità e al contempo di rigore morale che hanno contraddistinto la carriera di Salvatore Caminiti in qualità di medico responsabile del reparto medicina nel carcere di san Vittore, a Milano.
Molto interessante e con un tocco di humor, è il quadro descrittivo che riesce a delineare, dopo appassionati studi, delle personalità di personaggi responsabili di crimini efferati, nella fattispecie, nei passi che seguono, del famoso boss della mafia Luciano Liggio. I brani scelti sono  tratti da "L'Ottavo Cancello".

"...alla fine, nel prendere talune decisioni, conta molto il fattore ‘simpatia’. Non ne abbiamo ancora parlato. Ho incontrato persone simpatiche o antipatiche. Per esempio ebbi modo di conoscere un uomo che trovavo affabile. Solo successivamente seppi che si trattava del boss mafioso Luciano Liggio. Zamparelli, che fu questore a Napoli e capo della Squadra Mobile di Milano negli anni ‘50, famoso per avere fatto arrestare i componenti della banda di via Osoppo, mi rivelò dell’esistenza di prove certe relative a ben 13 omicidi compiuti da Liggio, e di molti altri delitti di cui mancavano ancora riscontri definitivi. Io Liggio lo conobbi bene. Contrariamente a quanto si possa pensare, era una persona piacevole. Parlavo abitualmente con lui così come sto parlando con te. Cosa vuoi che ti dica, più o meno tutti abbiamo personalità sfaccettate.
Quindi puoi capire come ci sia anche un conflitto interiore nell’animo di un medico che opera dietro le sbarre. Io comunque ho curato chiunque ne avesse bisogno, che fosse cittadino libero o detenuto, ladro o mafioso, simpatico o meno...


...poi cominciarono ad arrivare personaggi come Luciano Leggio, il famoso capo della mafia,  che tutti chiamano Liggio, morto di infarto nel 1993, e a proposito del quale ti voglio raccontare  un episodio.
Noi dovevamo compilare il cosiddetto modello 99, un librone enorme, in cui il medico doveva riportare tutto ciò che accadeva quotidianamente. Veniva redatto completamente a mano. Un detenuto, chiamato ‘detenuto scrivano’ era incaricato della sua compilazione. Prima scriveva su di un foglio, facendo poi controllare al medico se ciò che era stato trascritto andava bene. A quel punto, ottenuto il benestare, il foglio veniva incollato sul modello 99. In tal modo tutto ciò che succedeva nel reparto risultava rigorosamente documentato.
Un giorno, arrivando in carcere, aprii il librone. Vidi al suo interno un foglio scritto a macchina e incollato e lessi:
‘Liggio Luciano non può essere presente all’udienza di domani in quanto affetto da ipotensione’. Firmato dottor Caminiti. 
Chiesi - E questo cos’è?-
mi rispose lo scrivano –dottore sono stato obbligato, sa qui dentro…-
Gli dissi –Vammi a cercare Liggio-
Lui lo chiamò, e Liggio si presentò con aria molto gioviale, esordendo
- Dottore carissimo! - E io, piuttosto alterato
- Venga qui. Cos’è questa storia?- gli chiesi.
 E lui, per nulla turbato, replicò
-Dottore sa, se mi fossi presentato…  veda, per me era meglio saltarlo questo processo, perché presto ne avrò un altro…- 
- Ma lei si rende conto che questa cosa che è stata scritta oltre ad essere un falso è una stupidaggine? – dissi - La diagnosi è completamente sbagliata, lei è un iperteso, quindi non poteva scrivere ‘ipotensione’- proseguii – inoltre se avesse usato un po’ più di intelligenza, senza ricorrere a questi sotterfugi… e mi avesse detto magari che era andato di corpo tutta la notte, affetto da diarrea e non da ipotensione, sarei stato obbligato a rilasciarle un certificato. -
Mi guardò, fingendosi quasi mortificato e disse –Dottore ha ragione, non mi permetterò mai più- poi, incassato il colpo, se ne andò. Qualche giorno dopo entrai nella sua cella per visitarlo e lo trovai con delle tavolette di legno tra le mani. Vidi che cercava di spezzarle, gli chiesi –Ma cosa fa?- E lui mi rispose
-Dottore un po’ di karatè, non si sa mai… in prigione…-
A proposito di Liggio ricordo un’altra storia. Un detenuto voleva un certificato che non gli spettava affatto, assolutamente fuori luogo. Io gli dissi di no, e lui mi rispose minaccioso -L’aspetto lì fuori!- indicandomi il corridoio. Dalla mia stanza, l’infermeria, dovevo percorrere un passaggio obbligato che portava a uno dei sette cancelli che separano il carcere dall’esterno. Probabilmente lo scrivano aveva avvertito Liggio di quelle intimidazioni.
Quando uscii, questi si dispose da un lato. Di fronte a lui uno dei suoi accoliti. Mi scortarono insieme fino all’uscita, mentre quello che mi aveva minacciato se ne stava quatto, quatto, in un angolino. Non me ne ero reso conto, ma Liggio mi aveva protetto.
Quando mi capitava di avvicinarlo mi era sempre difficile capire chi avessi di fronte e quanto potesse essere diverso da me. Con Liggio mi sentivo combattuto tra il considerarlo per quello che vedevo esteriormente di lui, ovvero una persona dall’aspetto modesto, ma intelligente, simpatica nel modo di porsi e di parlare, e quello che sapevo dei suoi barbari crimini.
Vi fu un periodo in cui il ‘boss’ rimase privo di un dente prima che venisse rimpiazzato da una protesi. Liggio, ritenendosi poco presentabile per il pertugio evidente creatosi nella sua bocca, si scusò con me per l’inconveniente. Ma io non ero interessato al lato estetico. Stranamente, chissà perché,  con la fantasia immaginai quell’apertura come un varco inaspettato per accedere ai suoi segreti e quindi  alla verità sui numerosi delitti efferati che aveva commesso..."
 
 Luciano Liggio

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